PROXIMO LIBRO: Raccolta di margherita, Margarita García Alonso, traducida por Diego Dal Medico para Edizioni Saltilibro
Trabajo en la portada de una compilación de mis poemas -"Raccolta di margherita"- que se publica en Italia, traducida por Diego Dal Medico para Edizioni Saltilibro.
Un poema del libro:
Diario del Tempio
Piccoli recinti,
microscopici sfiatatoi
all’ombra del Tempio.
Dèi e Uomini pregano
un profumo purissimo,
tanto puro che fiorisce l’altare
nelle notti di calma.
Fuori il massacro,
ovunque desiderino uccidono
uccidono quel che rimane nella gabbia
uccidono come uccelli.
Proprio ora,
nelle acque fangose di Luanda
cominciano la guerra
ippopotami e coccodrilli.
Il fiume è enorme,
la fame immensa
affila denti, perfora,
salta all’occhio la massa inerte
della bestia attaccata allo spessore
della materia grassa.
La pianta legnosa nel corpo
l’ambizioso che brama,
il grugno
sorvolato da insetti
simili a lampade a gas.
Guarda, il vero tempio,
negli occhi di mia madre
quando pone nella mia bocca
la saliva sacra di
Santa Caterina da Genova
“se una goccia di quel che sento
cadrà nell’inferno,
lo trasformerà in paradiso”.
Io sono il paradiso e l’inferno, mamma
sono Caterina dei peccati,
guarda la luce della vetrata.
Quanti anni resterà l’uccellino in esilio?
Ovunque impalano uccelli,
sopra rami, dovunque,
nella casa del vicino,
ci sono sette uccelli,
come le settimane,
come le lune,
privati della fantasia,
cadaveri secchi
sopra piante che scacciano
l’odore irrazionale
da morto.
Li divorano, distruggono
il tempio sacro delle ali.
Madre, è allora che mi inietto
l’acido letale della poesia
deteriora la mia vena d’infanta,
vecchia ai tuoi occhi, madre
a quelli di Santa Caterina.
Nella mia terra, quando qualcosa va male
la notte si riempie di schizofrenici
che contemplano le stelle
seduti a terra
stelle che mi fanno germogliare parole,
contro questa guerra che esiste
nessuno vede ma esiste.
Con un papiro antico
sospeso sull’abitudine
poso la fronte a un palo,
mi sfracello
no, no ho somigliante
guarda quant’è bello il mirtillo,
guarda madre
ci sono molti fiori
per quattro primavere,
e dentro, ascolta, madre,
urino sopra il carbone
e non lo spengo.
Va’ e celebra ciò che nomino,
celebra quel che rimane dopo la battaglia
è poco,
ma è salvo.
Mettere al sole
Qui non ci sono muse,
solo vacche pezzate
che brucano all’alba
la finissima erba gelata.
Vacche smunte,
il latte nei condotti metallici
scorre come un ruscello irruento
ai piedi del vitello che trema.
Sensazione di mattatoio,
– il lampo attraversa il cielo –
attraversa questo cielo sconosciuto
infettato dai gas della partoriente.
Presto espellerò l’utero
espellerò il coagulo che azzurra
mentre le mosche danzano
un tempo infinito.
Respiro male, ansimo
se guardo le stelle.
Nessuno mi ha toccato
– nessuno mi tocca –
ovunque sia
mi perseguita
la lordura,
fango nelle mani,
ogni alba trucioli
brulicano nella narici,
odore di scarafaggio
dalla latrina di pali,
dove la latta dell’acqua
serve da specchio
la povertà
dei miei genitori miete
un campo di piselli
l’infinita povertà
nella primavera della stalla
dove siamo fiere
dal pelo ispido
sottomettendo al vento
quest’odor di umano
che fa venir fame
ad altre bestie.
La nostalgia stringe le mie viscere,
la mia mano deve scrivere
senza infastidire le sentinelle
che vegliano sul contado
conto crepe,
sempre defeco e urino
prima del viaggio o della battaglia
devo proteggere la mia rotula
pulire il fieno
tirar su l’humus.
Un rosone violaceo
in mezzo al petto.
Ciò che sono spaventa:
uccello senz’isola,
gazza di scogliera
scrittrice di spettri
groviglio di serpenti
che fornicano e spingono,
verso la corrente
senza pietà mi soffocano
quando ho chiesto solo
di custodire greggi
dove cade il frutto
tentatore del paradiso.
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